MOTORSPORT | PILOTI | Robert Kubica. Il Motorsport è da sempre una sorta di “romanzo popolare” che regala vicende di passione, perseveranza, innovazione tecnica, vittorie, sconfitte e, purtroppo, qualche volta anche drammi. La vicenda umana e professionale di Robert Kubica è tutto questo e molto di più.
A fine anni Novanta la scena kartistica europea è dominata da tre adolescenti i cui nomi sarebbero, di lì a poco, divenuti altisonanti se non leggendari.
Il primo, Nico Rosberg, è figlio d’arte: bello, educato, poliglotta, batte il record di essere il più giovane ad aver provato una monoposto di Formula Uno, quando la Williams, all’epoca motorizzata BMW, gli offre un test come premio per aver vinto il titolo tedesco di Formula Adac ed il padre, vedendolo girare, commentò: ”non mi assomiglia neanche un po’, sembra Prost”. Meno male, fu il nostro primo pensiero.
Il secondo, Lewis Hamilton, era il figlio di un elettricista inglese originario di Trinidad e Tobago. La Mclaren lo seguiva fin dai suoi esordi, inaugurando così la moda di “costruirsi il fenomeno in casa” e, a posteriori, bisogna riconoscere a Ron Dennis di averci visto giusto.
Il terzo è proprio Robert Kubica da Cracovia, polacco di nascita ma ormai italiano d’adozione. Vince quello che deve vincere nelle formule minori, pur perdendo una stagione per un incidente stradale mentre era in auto con il suo manager (un’avvisaglia?). Ciononostante, impressiona proprio i vertici della BMW, che nel frattempo ha lasciato la Williams per rilevare la Sauber e diventare costruttore a tutti gli effetti ed alla fine, nel GP d’Ungheria del 2006, esordisce nella massima formula al posto di un Villeneuve ormai in fase calante.
Robert piace: è velocissimo, corretto, tecnicamente preparato. Ma è anche un ragazzo schietto, che con il suo italiano “alla Gustav Thoeni” diventa molto popolare nel nostro paese.
La BMW è in crescita, lo conferma per le stagioni successive ed arrivano buoni risultati, ma in Canada, quando il suo amico Lewis Hamilton centra la prima vittoria in carriera, rimane vittima di uno degli incidenti più brutti degli ultimi vent’anni, uscendone praticamente illeso, al punto da essere persino inserito negli atti del processo di beatificazione di Giovanni Paolo II. L’anno seguente il Destino sembra però deciso a ripagarlo e proprio sull’isola di Nôtre Dame centrerà la sua unica vittoria in Formula Uno.
La BMW lascerà il mondiale a fine 2009 e per il 2010 Kubica arranca con una Renault poco competitiva, poi arriva quel maledetto 6 Febbraio 2011, quando, partecipando ad un rally poco più che amatoriale, si schianta contro un guard-rail che quasi taglia la sua Skoda in due. Arriva in ospedale con un litro e mezzo di sangue e praticamente tutte le ossa rotte. Anni di interventi, alcuni dei quali anche a Mantova, lo restituiscono comunque ai rally, dove vince e pure tanto, tuttavia resta il rammarico per una carriera nella massima formula spezzata, proprio quando, come sarebbe emerso qualche anno dopo, si stava concretizzando il passaggio alla Ferrari.
Tuttavia, il rapporto del cattolicissimo Robert con il Fato sembra sempre imperniato sul dare e togliere, pertanto, nel 2019 dopo un paio di test con la Renault svolti forse più per sfida che altro, a trentacinque anni, Kubica torna nel Mondiale di Formula Uno con la Williams. Purtroppo però la squadra di Sir Frank, è una nobile decaduta, in procinto di diventare l’attuale succursale della Mercedes. Non a caso, Robert deve dividere il box con l’esordiente Russell, guarda caso, vincitore dell’ultimo GP del Canada. La macchina è un cesso, Russell mostra da subito di che pasta è fatto, standogli spesso davanti e di risultati non se ne vede neanche l’ombra. Ma Robert convince tutti e per il 2020 viene scelto dal suo team di debutto come terzo pilota. Ritrova così la Sauber, quell’anno ribattezzata Alfa Romeo ed in un paio di occasioni sostituisce Raikkonen, trovato positivo al Covid.
Negli anni successivi Kubica lascia definitivamente la massima formula per passare alle ruote coperte, e, finalmente, nel 2024 approda alla Ferrari nella classe regina dell’Endurance, l’Hypercar.
La recente ed inaspettata vittoria alla 24 ore di Le Mans al volante della 499P gialla, condivisa con Yifei Ye e Philip Hanson non è il semplice coronamento di una carriera comunque prestigiosa, ma bensì l’inizio di un’avventura che andrà sicuramente lontano, un’avventura umana e sportiva che sembrava dovesse finire il 6 Febbraio del 2011.
La storia di Kubica è quella di un uomo che ha visto crollare il suo mondo ed è stato costretto a trovare chissà dove le forze per affrontare un lungo e doloroso percorso di rinascita, nel quale la vittoria nella maratona di La Sarthe è soltanto la ciliegina sulla torta, un po’ come è successo ad altri prima di lui, da Lauda a Marquez, ma anche, perché no, da Alessandro Nannini a Jacques Laffitte. Storie da romanzo popolare appunto.